venerdì 4 gennaio 2008

cara sinistra, senza una riflessione su internet non vai da nessuna parte

Carlo Infante su Liberazione del 4 gennaio 2008

E' urgente trasformare il web in un ambito di comunicazione sociale, strappandolo dalle mani di tecnocrati liberisti ed informatici. Ma nell'assemblea dell'8 dicembre è mancato un momento di riflessione su un punto centrale per costruire il cambiamento


Nuovo anno: nuovi sguardi al futuro delle cose che ci riguardano. Tra queste il web, anche se molti non si stanno rendendo conto quanto la rete delle reti possa determinare lo sviluppo della Società dell'Informazione in cui stiamo vivendo. E', infatti, necessario dare forma ad uno sguardo etico e politico su questo fronte che rischia altresì d'essere lasciato in mano a tecnocrati liberisti ed informatici senza visione complessa della socialità in trasformazione. Proprio per questo alla manifestazione della "nuova sinistra" del 20 ottobre c'era uno striscione che recitava "il futuro è già qui, è solo mal distribuito". E' la rivisitazione di una frase dello scrittore che ha lanciato la letteratura cyberpunk, Wiliam Gibson. In quel grande corteo era lo striscione di Net Left (www.net-left.org ), un gruppo di lavoro che si occupa della "Rete per l'innovazione e la comunicazione" di Sinistra Europea. Uno slogan che fa riflettere su quanto sia centrale la questione della conoscenza e delle pari opportunità d'accesso alle risorse informative all'interno della battaglia politica nella società dell'informazione.
Dovrebbe essere evidente quanto questo fronte è decisivo per la definizione di una nuova forma della politica oggi. Eppure nell'assemblea della sinistra e degli ecologisti dell'8 dicembre, è mancato un momento preciso di riflessione su come fare delle reti, il web in particolare, un ambito di comunicazione realmente sociale. In particolare, all'interno del workshop su "Cultura, Ricerca e Conoscenza" che avrebbe dovuto focalizzare la questione si è quasi omesso (ad eccezione di pochissimi interventi) di trattare della rivoluzione digitale e di come stia ridefinendo i sistemi di trasmissione delle conoscenze e della produzione culturale. Invece è sconfortante vedere come molti intellettuali della sinistra snobbino questioni così cruciali, forse perché sfuggono ciò verso cui si sentono inadeguati. Senza umiltà, senza intelligenza politica e poetica. Ma il tempo gioca a sfavore, la deriva dei continenti della politica rappresentativa è incalzante e non si può più perdere tempo. E' ancora più deprimente assistere all'autoreferenzialità di chi s'arrocca su ciò che già sa, senza proiettarsi in avanti, nell'evoluzione dei linguaggi e dei comportamenti in cui è inscritto il nostro futuro: la vita che ci resta da godere e sperimentare.
Ma come si può lasciare lo sviluppo della società dell'informazione in mano alle grandi corporate del software e dell'editoria cross-mediale? Si snobba la "tecnologia" come se fosse qualcosa per addetti ai lavori tecnologici, sottovalutando il fatto che scandisce sempre più le dinamiche sociali e, ciò che è più urgente, condiziona l'immaginario di nuove generazioni che stanno crescendo da sole, centrifugate da automatismi, perse nelle reti che rispecchiano troppo poco la vita sociale. Senza l'opportuna attenzione culturale che coniughi i saperi sedimentati con le nuove attitudini ipertestuali dei "nativi digitali".
E' un errore lasciare il problema strutturale dell'innovazione ai liberisti, preoccupati solo della scarsa competitività internazionale del nostro Paese. Invece è chiaro: la questione dell'innovazione non è solo tecnologica ma psicologica, riguarda prima di tutto i modelli educativi e, a ruota, tutto il resto.
Si tratta, insomma, di attuare quella Società dell'Informazione che non crea ancora mercato perché non ha sotto un motore sociale capace d'interpretarla. Se nella Società Industriale è chiaro che la catena del valore sta nella trasformazione da materie a merci, attraverso il patto-conflitto tra capitale e lavoro, oggi ci s'interroga (per chi sa quanto tempo…speriamo di non andare in malora prima…) dove stia la nuova catena del valore. E' negli spot televisivi? No! Anche se interi distretti audiovisivi sopravvivono agganciati alle filiere televisive. Quel sistema pervasivo dei mass-media che ha caratterizzato la Società dei consumi di massa è al lumicino. In molte nazioni l'intero sistema del marketing sta già migrando verso il web. Questo è l'indicatore di come si stiano riposizionando gli assetti economici e di conseguenza quelli politici connessi alle concentrazioni editoriali cross-mediali. E' per questo che è importante riflettere sulla nuova fase di Internet e di come vi convergano le politiche che segnano le dinamiche del cambiamento.
In questo senso è fondamentale iniziare a considerare la Rete come il nuovo spazio pubblico, dove intervenire per tempo, per preservare il bene comune, perché sia fondato sulla redistribuzione delle risorse informative, Qualcosa che va oltre la ricchezza materiale (per ridefinire i criteri economici, rivolgendosi verso il "fare economia", risparmiare, secondo i paradigmi della sostenibilità ecologica) per estendere le opportunità e aprirsi alla conoscenza progressiva.
Perché questo accada bisogna tirare su le antenne, monitorare gli scenari in atto, a partire da ciò che caratterizzerà il web in questa fase. Si può iniziare a cogliere gli aspetti che sono già in divenire, interpretando i segnali già evidenti. Prima di tutto quello che passa sotto lo slogan di web 2.0, ovvero il rilancio della rete grazie alla partecipazione degli utenti. Sono proprio i cosiddetti user generated content (i contenuti generati dagli utenti) a fare la differenza.
E' in questa dinamica partecipativa che è possibile vedere, con l'ottimismo della volontà, lo sviluppo tecnologico del web emancipandolo dalla mera logica tecnocratica del mercato per orientarlo verso la dimensione sociale.
In questo senso è opportuno interpretare il grande fenomeno del social networking (su cui si sono orientati i maggiori investimenti, come My Space comprata da Murdoch per 580 milioni di dollari e You Tube per più di un miliardo e mezzo da Google) come il nodo da sciogliere per declinare quel "social" in una potenzialità veramente sociale, orientata cioè verso nuove forme di auto-organizzazione che agiscano nel territorio.
Un esempio cardine è quello dei Meet up , la molteplicità di forum interconnessi al blog di Beppe Grillo, che hanno reso esplicita la potenzialità della rete, nel tradursi in azione politica (affermando quanto il social networking si possa rivelare come nuova forma di azione co-operativa), raccogliendo centinaia di migliaia di firme, per denunciare la presenza in Parlamento di decine dì inquisiti, in poche settimane.
Ciò che è ancora più emblematico è il concetto di social networking territoriale che in diverse realtà s'inizia a sperimentare, progettando piattaforme attraverso cui condividere le iniziative delle associazioni culturali, i gruppi d'acquisto solidale attenti alla filiera corta delle colture biologiche o le azioni di cittadinanza attiva (come in Piemonte con Acmos e Libera o, in prospettiva, nel Piceno con il progetto di Comunanze.net).
Nel frattempo, negli Stati Uniti, in vista delle presidenziali del 2008, il social networking è ampiamente già tracimato nell'agone politico di primo livello, connotando la campagna elettorale con serrate conversazioni bidirezionali basate su blog (su cui è particolarmente attivo Barack Obama). Ciò sta ridimensionando la comunicazione unidirezionale della propaganda politica tradizionale, rivelando i maggiori contatti dalle rampe di MySpace, YouTube, Flickr e Facebook (su cui s'è buttata anche Microsoft comprandone solo l'1,6%, per 240 milioni di dollari).
Non c'è dubbio, la battaglia politica si estende sempre più nel web. E' questa una delle novità del 2008. E' un dato intimamente culturale: è la tecnologia della comunicazione che oltre il sistema dei linguaggi si estende nei nuovi comportamenti che reinventano la dimensione antropologica e sociale. Per questo c'è la necessità di inventare azioni pubbliche e creative per stare dentro le cose, per fare in modo che la rete possa diventare sempre più uno spazio pubblico. Le istanze partecipative contemplate dalla sinistra migliore non possono sottovalutare le potenzialità del web 2.0. Si tratta di antropizzare la rete, portare l'impronta dell'uomo e delle comunità attive nella rete. E' questo il significato di quello slogan semplice ma strategico che risuona come una vecchia canzone di De Gregori (che di fatto evoca): la rete siamo noi.